Il Giro di Alberto
Articolo di Matteo Pirelli, Gazzetta Dello Sport
"Sono più nervoso di quando correvo... Se vince Fortunato, vadoda Pinto a Milano, 1600 chilometri, in bici. Capito?". Era lo scorso 22 maggio, tappa dello Zoncolan al Giro d’Italia. Le immagini in cui Alberto Contador da casa "spinge" Lorenzo Fortunato all’impresa su una delle salite più affascinanti della Corsa Rosa sono diventate presto virali. Del resto, quella è stata una giornata storica per il team Eolo-Kometa del Pistolero e di Ivan Basso, il progetto più moderno del ciclismo italiano, che in quella occasione conquistò il primo successo. Che, per prestigio e modalità (in fuga dal chilometro 12 e solitario all’arrivo), resterà una pietra miliare nella carriera "manageriale" dei due ex campioni. E quella vittoria fu anche prevista da Basso che al mattino, prima della partenza,aveva detto che Fortunato avrebbe potuto vincere. Detto e fatto.
Restava da mantenere quella promessa. E il Pistolero è stato di parola. Lunedì, assieme al suo gruppo di nove amici della Aurum Bike Travel, è salito in bici e si è messo in marcia verso Milano. Sei tappe, da Madrid al capoluogo lombardo, due frontiere da superare, e1600 chilometri in totale per un dislivello complessivo di circa 5000 metri. "È una cosa nata un po’ per gioco - racconta Ivan Basso, re di due Giri d’Italia, nel 2006 e 2010, anno in cui vinse una tappa proprio sullo Zoncolan -. Tra me e Alberto c’è grande complicità, io gli dò una mano sulla parte legata alle bici e lui sulle questioni relative alla squadra. Il nostro obiettivo al Giro era ambizioso per una squadra Professional e giovane come la nostra: vincere una tappa. Con Alberto ci sentivamo tre-quattro volte al giorno, lui non poteva venire di persona perché aveva il Covid e così ha fatto il tifo da casa, con quel famoso video che ha fatto il giro del mondo. Come s’è visto e rivisto, non stava nella pelle...".
Il percorso Subito dopo lo Zonzolan, Contador ha cominciato a pianificare il viaggio per mantenere la promessa. E lunedì, appunto, si è messo in marcia. Un viaggio anche di piacere per uno che dà le bici alla squadra col suo marchio Aurum e si mantiene in forma pedalando quasi tutti i giorni. "Sono un gruppo molto organizzato - continua Basso -. Hanno al seguito una vettura per ogni esigenza e hanno pianificato tutto, dagli hotel ai posti dove fermarsi. Le gambe a Milano saranno pesanti, perché il percorso è molto impegnativo viste anche le tante montagne da passare. Ma è tutta gente preparata".
Nel frattempo le prime due tappe sono state già portate a termine: lunedì la Madrid-Saragozza, 368 chilometri coperti in 10 ore e 39 minuti che non hanno affaticato Contador: "È stato uno dei giorni più belli che ho trascorso in bicicletta - il messaggio sui social del madrileno - , bella tappa affrontata con tanti amici: anche se può sembrare sorprendente, ci è sembrata corta e veloce. E continuiamo con lo stesso entusiasmo la nostra Madrid-Milano".
Ieri, invece, è stata la volta della Saragozza-La Seul d’Urgell (275,9 chilometri), non lontano da Andorra. Da dove si ripartirà oggi per poi arrivare a Montpellier dopo 315 chilometri (la tappa più lunga di questa pedalata) dopo aver attraversato la frontiera Spagna-Francia sui Pirenei. E domani, a far compagnia a Contador e amici, arriverà proprio Ivan Basso. "Raggiungerò il gruppo a Gap in serata - dice ancora il varesino - e farò le ultime due tappe assieme a loro. Sarò alla coppa Sabatini con la squadra e la sera dalla Toscana partirò verso la Francia. È l’occasione per stare assieme, mantenersi in forma e pianificare le ultime corse della stagione".
Da corridore, Basso non ha mai fatto promesse, voti o cose del genere. Pedalava e basta. Ma da quando è sull’ammiraglia il suo pensiero è cambiato. E gli orizzonti si sono allargati. Ed ecco che arriva la "proposta indecente". "Facciamo così - chiude Ivan -. Se al prossimo Giro d’Italia con la Eolo-Kometa vinceremo due tappe, migliorando il risultato di quest’anno, farò come Alberto ma sul percorso opposto. Da Milano a Madrid in sei tappe". La sfida è lanciata.
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Presentazioni 18° Memorial Marco Pantani e 74° Trofeo Matteotti
Sito ufficiale Eolo-Kometa Cycling Team
La successione delle gare del calendario italiano comincia a prendere velocità con due nuove gare che chiuderanno la terza settimana di settembre. È la volta del Memorial Marco Pantani, a Cesenatico sabato 18, e del Trofeo Matteotti a Pescara, il giorno seguente, domenica 19.
Il Memorial Pantani è una gara giovane rispetto alle altre, solo diciassette edizioni si sono svolte dalla sua nascita nel 2004, ma il peso del suo nome lo rende un evento molto importante. Un Memorial Marco Pantani che ha visto uno dei corridori del nostro team, Francesco Gavazzi (2016), alzare le braccia al traguardo. Nel 2010 Belletti era terzo e nel 2018 era Gava.
L’edizione del 2021 ripeterà il percorso della precedente. Una prima via dove verranno scalati la Rocca del Carminate, Teodorano e il Monte Cavallo. Poi, tre giri del circuito di Montevecchio, dove questa difficoltà orografica si distingue per la sua lunghezza (5 km), la sua pendenza media (6%) e le sue pendenze massime (14%). Infine, quattro giri di un circuito stradale a Cesenatico.
Il Trofeo Matteotti ha molta più tradizione. La gara dell’Unione Ciclista Perna è giunta alla sua 74esima edizione. Un circuito che ha come epicentro Pescara e dintorni ospita la gara. Il circuito, di 15 chilometri, presenta nella sua parte centrale la salita al Colle Scorrano e a Montesilvano Colle come grandi difficoltà ed entrambe saranno affrontate durante tredici giri.
Lo staff tecnico dell’Eolo-Kometa Cycling Team ha organizzato un blocco di undici corridori per questa seconda catena di gare in Italia. Nel Memorial Pantani gareggeranno Vincenzo Albanese, Davide Bais, Manuel Belletti, Mark Christian, Francesco Gavazzi, Lorenzo Fortunato e Vicente Hernaiz. Il giorno seguente, nel Trofeo Matteotti, Albanese, Bais e Fortunato si ripeteranno e Mattia Frapporti, Edward Ravasi, Samuele Rivi e Luca Wackermann completeranno la squadra.
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Coppa d’Oro, un papà speciale, con le idee tanto chiare…
- Quando sentisti parlare per la prima volta di questa corsa?
Quando ero esordiente di secondo anno. Questa è la corsa che inizia a proiettarti nella lista dei predestinati. Non è cruciale per la carriera, ma da qui si comincia a tracciare una linea particolare. Erano le prime trasferte, le prime volte che con la squadra si andava in un albergo. E poi ovviamente il contesto. Nelle categorie giovanili, la maggior parte delle gare si fa nella provincia, quella era la prima volta che anche andavo fuori regione.
- Tanta emozione?
C’erano delle emozioni particolari. L’albo d’oro e la storia di questa corsa fanno alzare la tensione, era la prima volta che sentivo quel dolore allo stomaco da prestazione. Prima si andava la Sagra del Brinzio a Varese, insomma…
- Cosa ricordi di Ivan Basso da allievo?
Ero pieno di ricci (ride, ndr)! Ivan basso allievo era già un ragazzo che sognava di diventare un ciclista professionista. Dopo la vittoria in questa gara, sono iniziati i primi articoli sui giornali, le prime attenzioni particolari nei tuoi confronti, soprattutto le squadre che ti cercavano. I primi soldini. Significava anche che arrivavo nella categoria juniores dove potevo già vestire l’azzurro. Il passaggio più emozionante dopo aver vinto la Coppa d’Oro fu vestire la maglia azzurra da junior.
- Si corre per il proprio direttore sportivo, ma cosa significò vincerla?
C’era l’orgoglio di diventare un ciclista professionista. Facendo un piccolo parallelo con oggi, la categoria allievi era gestita con le metodologie di allora. In questo momento c’è stata un’evoluzione anche nelle categorie giovanili, ma non sempre se c’è troppa esasperazione la crescita del giovane continua con lo stesso trend. Una volta questa era considerata un momento di passaggio nella crescita, non uno spartiacque.
- Quanto è diverso oggi?
Premetto che non mi intrometto e con Santiago parlo di tutto fuorché di ciclismo. È Dario Andriotto che si occupa del settore giovanile e anche di mio figlio, ma ritengo che fra i giovanissimi e gli juniores ci siano società che lavorano bene e altre che hanno probabilmente delle aspettative troppo alte per quella categoria.
- Basta guardare le bici con cui corrono…
Però io non sono d’accordo che un allievo debba avere una bicicletta come quella che usa Fortunato al Giro d’Italia. Ritengo che sia una categoria dove ci vuole il buon senso. Sono ragazzi di 15 anni, devono allenarsi, imparare a mangiare. Ogni anno devi crescere un po’, a questa età è un controsenso dare tutto al massimo. Porto l’esempio di Santiago…
- Prego…
Tu non puoi trattare Santiago come un under 23, quando poi lo vedi che un minuto dopo la gara, si mette a giocare a nascondino coi suoi fratelli di sei e dieci anni. Non hanno ancora la capacità e la tenuta psicologica. Per cui puoi mettergli dei tubolari velocissimi e gli ingranaggi più belli, ma non cambia niente. Questa è un’età secondo me dove bisogna ancora lasciare libertà e la possibilità di fare altri sport. Ci sono atleti che iniziano a correre 17-18 anni che magari hanno qualche difficoltà nel gruppo, ma a livello di forza ne hanno di più e fanno risultato meglio di chi magari ha iniziato da giovanissimo.
- Santiago aveva le tue stesse emozioni venendo a Borgo?
Le stesse. Qual è il genitore appassionato di ciclismo che non ha l’ambizione che suo figlio possa fare il ciclista? Però tutto a suo tempo. Sono convinto che se deve arrivare, arriverà.
- Come vi regolate con i ragazzi che escono da squadre un po’ troppo… spinte?
Non li prendiamo. Perché comunque i nostri responsabili dello scouting sono ex atleti, persone che hanno corso con me e sanno distinguere. Per evitare questo problema stiamo cercando di creare una filiera, non una filiera unica perché altrimenti sarebbe penalizzante per le altre società, creando dei gemellaggi con società satelliti. Tant’è vero che stiamo già prendendo ragazzi di 15-16 anni da inserire nelle nostre squadre, ad esempio i due gemelli Bessega. E seguiamo bene tutto. Andriotto oggi è al Buffoni e io sono qua. Ma vorrei aggiungere una cosa…
- Quale?
La stragrande maggioranza lavora nel modo giusto, non è tutto sbagliato. Però cercare il risultato e l’esasperazione nella categoria allievi, poi negli junior e anche negli under 23 fa dei grossi danni. Perché comunque non hanno la testa per sopportare i carichi di lavoro o diete particolari. Non hanno la testa per sopportare la pressione e soprattutto devono imparare a perdere. Quindi rischi che a spingere sul fatto che devono vincere le corse, poi non sanno usare il cambio, non sanno frenare, non sanno dare i cambi, non sanno fare una doppia fila, fanno le volate con le mani alte…
- Tu sei sempre stato molto attento alla preparazione, daresti loro il misuratore di potenza?
No! Ritengo che il misuratore di potenza inizi a dare delle indicazioni utili al secondo anno da e solo in allenamento. Sono d’accordo con l’intervista che ha fatto Andrea Morelli. È il cardiofrequenzimetro la vera innovazione. Perché con il cuore l’atleta dovrebbe iniziare a capire e ad ascoltare il proprio corpo. Perché la vera differenza non sarà quanti watt hai al chilo. Quello che fa la differenza tra il campione il corridore normale è la capacità di andare oltre con la testa. Vince chi sa soffrire di più e che basta tener duro ancora un po’. Sono le cose che non insegni, che il corridore impara da sé.
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